Schiavone, Aldo, Storia e destino, Einaudi, Vele, Torino, 2007.
L'Essere e il divenire sono in una relazione strettissima, l'uomo è parte di un mondo che oggi è percepito sempre più in movimento e in mutamento. In ogni momento abbiamo a che fare con la velocità del tempo, basta osservare ciò che ci circonda per comprendere il disagio sentito intensamente dagli uomini che abitano questo mondo. Quegli uomini che vivono nell'istante, perché l'adesso è subito domani.
L'identità del singolo, e anche quella collettiva, si trova di fronte al tempo: essere e divenire si confrontano, ma l'attività del tempo è incessante, rapida e vertiginosa. Esso modella, modifica e spesso stravolge proprio quell'identità che con fatica è emersa e ha preso forma dal "tempo profondo" (di cui parla Schiavone) e soprattutto dalla memoria di quel "tempo profondo".
Quella di Schiavone è un'interessante lettura, ma, anche se nel complesso ho un'affinità di visione con quella dell'autore, devo però ammettere che alcune riflessioni da lui sviluppate (anzi, poco sviluppate, considerando la dimensione del libretto che Schiavone definisce "più leggero di una foglia") non mi convincono del tutto. Una, in particolare, è la dimensione del sentimento e delle emozioni dell'uomo odierno (il quale vive in un "tempo accelerato") che non viene considerata. Siamo davvero convinti che sia possibile scindere l'intelligenza dalla natura, e soprattutto non valutarla nella propria estensione più soggettiva, quella del sentimento, della passione, in una parola: dell'animo umano? E com'è possibile parlare di un "nuovo umanesimo" se l'uomo non viene considerato nella propria totalità?
Un secondo aspetto cruciale affrontato nel testo è quello "dell'accrescimento della potenza dell'umano". Questa potenza si dirige verso l'infinito: l'uomo è oggi in cammino su quella strada che gli permetterà di sfondare le barriere della propria limitatezza, del proprio essere finito. Vero! ancora una volta basta guardarci attorno, ma a mio parere è necessario distinguere due piani: l'uomo come singolarità e l'uomo come specie. La specie si prolunga oltre il finito, il singolo ha la sua tappa finale e non solo per natura ma per forza di cose. Se ipotiziamo, come dice Schiavone, che le novità bio-ingegneristiche aiuteranno a prolungare la vita dell'uomo oltre natura, ossia ci sbarazzeremo dell'insufficienza di quel corpo sempre mal sopportato, è anche vero però che quella vita si troverà a fare i conti con i limiti psicologici, emotivi e di coscienza che la propria natura impone. Il salto che l'uomo dovrà compiere sarà quindi enorme perché il "tempo accelerato" (o contratto, o ristretto) sia adeguato a rendere l'uomo stabile in una nuova identità.
E, inotre, siamo veramente sicuri di poter parlare di una *nuova identità* quando il tempo non lascia margine alla costituzione di una memoria, quell'ambito che mantiente il legame essenziale tra "Storia" e "Destino", ed è perciò il terreno fondante per costituirci come persone?
Siamo ciò che siamo perché abbiamo avuto il coraggio di guardare indietro e di conoscere come eravamo. E soprattutto abbiamo mantenuto la memoria del passato.
Gluc!
RispondiEliminanon avevo pensato a questo aspetto. avevo promosso il libro a bibbia sociale, un annuncio positivo verso l'incognita del futuro che non è più incognita con la secchiata di acqua fredda che schiavone ci ha lanciato.
complimeni per l'analisi.
federica
Comprato e letto! ;-)
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