mercoledì 2 febbraio 2011

Sulla menzogna politica

Alexandre Koyré, Sulla menzogna politica, Lindau, Torino, 2010.
on Saturday, 16 October 2010 at 11:48

Attualissima l’analisi di Koyré in questo breve testo scritto nel 1943. Un’antropologia filosofica sulla menzogna nei sistemi totalitari, ma anche nell’uso politico comune e odierno. Perché il dispotismo è manifesto anche in una democrazia, soprattutto quando questa è formata da masse di uomini non pensanti. Koyré sostiene che
«l'antica definizione greca, che determina l'uomo come zoon logicon, si fonda su un equivoco: non vi è relazione necessaria tra logos-ragione e logos-parola, e ancor più non ve n'è tra l'uomo, animale razionale, e l'uomo, animale parlante» (pp. 38-39).
Tra l'uno e l'altro la differenza è grandiosa, perché il primo pensa, mentre il secondo crede. «E l'animale credulo è appunto quello che non pensa» (p. 39). La credenza è una specifica qualità della massa, considerata, appunto, come l'altro in rapporto ad un capo o a chi, contrariamente, semplicemente pensa. Koyré scrive:
«quanto agli altri, a quelli che credono, essi mostrano di essere insensibili alla contraddizione, impermeabili al dubbio, incapaci di pensare» (p. 36).
Ed è proprio questa incapacità di «pensiero teorico» che è ricercata dai totalitarismi. Poiché, l'uomo, nel regime totalitario, può essere considerato solo azione, in quanto la ragione, che «disprezza l'uomo e in particolare l'uomo totalitario» (n. 34, p. 36), considerata nelle «sue forme più alte, l'intelligenza intuitiva, il pensiero teorico, ciò che i Greci chiamavano nous» (p. 36), è disprezzata dai totalitarismi. La ragione disprezza l'uomo credulo, mentre il capo di un regime ne ha bisogno per perseguire i propri scopi. Ed è per questo che il totalitarismo denigra il pensiero autonomo, scredita l'integrità logica, offende la dignità umana, mentre apprezza l’uso della menzogna. I regimi mentono spudoratamente e in questo mentire – per l'uomo pensante – le contraddizioni sono evidenti.
«Il pensiero, [...] la ragione, il discernimento del vero dal falso, la decisione e il giudizio, è una cosa rarissima e poco diffusa nel mondo. Una cosa riservata all’élite, non alla massa. Quest’ultima è guidata, o meglio, spinta dall’istinto, dalla passione, dai sentimenti e dai risentimenti. Essa non sa pensare, né volere. Non sa che obbedire è credere. Essa crede a tutto ciò che le si dice. Purché glielo si dica con sufficiente insistenza. Purché si lusinghino le sue passioni, i suoi odi, le sue paure» (p. 39).
Per usare le parole di Heidegger (strano ma vero), la massa si trova costantemente immersa in quel gorgo del «Si» neutro, in cui il pensiero è il «si pensa», la parola è il «si dice», i comportamenti corretti sono il «si deve fare». Ma emergere dalla deiezione è possibile solo a condizione di ritrovare se stessi, la propria integrità razionale e morale, il proprio fine puro, quello che per Kant è l’umanità, esclusiva peculiarità dell’uomo che lo distingue non solo tra chi pensa e chi crede, ma anche dagli animali. Solo nell’umanità l’uomo ha la possibilità di fare esperienza della libertà (altro concetto ostile al dispotismo). Ma ritornando alle contraddizioni dei regimi,
«gli iniziati, i membri dell'élite – grazie a una sorta di sapere intuitivo e diretto [tra se stessi e il capo] – conoscono il pensiero intimo e profondo del capo, i fini segreti del movimento. In questo modo essi non restano turbati dalle contraddizioni e inconsistenze delle sue asserzioni pubbliche: sanno che esse perseguono lo scopo di confondere le masse, gli avversari, gli altri, e ammirano il capo che usa e pratica così bene la menzogna» (p. 36).
I sostenitori di un capo, lo stretto entourage di un dirigente, non è la massa, è una cerchia di uomini pensanti che, però, purtroppo, distorce l’oggettività dei fatti per un proprio esclusivo vantaggio finale e segreto, che, dunque, la massa non potrà mai sospettare e ancor meno comprendere.
Il male, dunque, non sta nel dispotico che dice falsità, in quanto non è responsabile degli effetti nefasti della menzogna, perché alla fine la menzogna è parte dell'uomo parlante e la sua genesi è rintracciabile nell'uomo stesso. Il male è insito, piuttosto, nella funzione che svolge la massa, che a sua volta è altrettanto antidemocratica del cesarismo dominante. Infatti per Heidegger è il «Si» che comanda, che tiene in scacco ogni decisione non conforme e creativa, che neutralizza l'originalità e appiattisce nell'uniformità il pensiero. Il male della menzogna è l'univocità della massa.

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